Lotta continua

Roberto Beccantini14 febbraio 2023

La storia non basta, ma serve. Aiuta, come cantava e ammoniva Giorgio Gaber, «a buttare lì qualcosa». Torna la Champions e, dai fori cadenti del suo campionato, ecco il Milan che «repente si desta». Andata degli ottavi, 1-0 al Tottenham. Leggerete che l’ha vinta Pioli e persa Conte. Liberissimi. L’ha risolta Brahim Diaz, questo sì, con un gol-lampo su percussione di Theo e flipperate assortite di Forster, il portiere. Un episodio. Una sentenza.

L’ha meritata, il Diavolo, più vicino al raddoppio (con le crape di De Ketelaere e Thiaw) di quanto gli speroni non avessero sfiorato il pari. E’ stato un wrestling griffato, da vetrina di Monte Napoleone, un po’ hard e un po’ cool, senza i do di petto che mandano in estasi il loggione. Più di lotta che di governo, ovunque e comunque. Hanno menato, Kjaer e c., ma l’unico da rosso mi sembrava Romero (su Tonali).

A Pioli mancavano Ibra e Bennacer; a Conte, le colonne del centrocampo (Hojbjerg, Bentancur). Si è visto. Kane e altri dieci, mi verrebbe da dire: male Perisic (braccato da Saelemaekers), idem Kulusevski (atteso al varco da Theo) e Son (c’era una volta). Come avevano ipotizzato i vecchi saggi, il Milan ha sfondato soprattutto a sinistra, la destra degli Spurs. Non banale l’ancheggiare di Brahim Diaz, da Leao voglio di più; da Thiaw e Kjaer, viceversa, non mi aspettavo tanto. Guerrieri e sparvieri.

Partita povera di emozioni, con Tata chiuso per «mischia». Epperò le notti d’Europa, quando sferzate dall’eliminazione diretta, ti tengono sempre lì. In attesa di tartari che magari non arriveranno ma dei quali, in base alla passione, immagini, sinistro, lo scalpiccio. Per coach Stefano, è il secondo 1-0 consecutivo, segno che almeno la difesa risponde; per coach Antonio, un altro k.o. dopo la sbandata di Leicester e, in generale, un quadro sbiadito, non certo all’altezza del martellante Ego
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Mi spezzo ma non mi spiego

Roberto Beccantini12 febbraio 2023

Tra guelfi e juventini son sempre ordalie così, con gli episodi a frustare la trama. Anche stavolta. Per la sgrullata di Rabiot, su parabola dolce del Fideo, serve la goal line. Per annullare la rete di Vlahovic, al 58’, urge il fuorigioco semi-automatico. Idem per il pareggio di Castrovilli, all’89’, «complice» Ranieri, attivo (sin troppo) su Locatelli. Per il secondo giallo a Bonaventura, viceversa, sarebbe bastato «un» arbitro.

E allora, Juventus uno Fiorentina zero. Ha vinto chi ha tirato di più. Ha perso chi ha giocato di più: ma se non tiri mai, qualche sospetto dovrebbe sorgere. Allegri è questo, non vorrete mica che cambi in un frangente, tra parentesi, così delicato, così «intercettato». Kostic se n’è mangiati un paio, idem Kean quando ha sostituito Vlahovic: ma più che buone azioni, furono sgorbi dei condomini. Se vai sui numeri, nessun dubbio: Madama. Se, invece, ti aggrappi alle lavagne come le attrici dei film muti alle tendine, bé, insomma, coraggio.

Italiano era partito senza centravanti per poi chiudere con Jovic e Cabral. Max, in compenso, ha voluto fare l’americano. A Napoli sbandierò Di Maria, Kostic, Chiesa, Milik: e finì 5-1. Contro la Viola, evviva il tridente: Chiesa, Vlahovic, Kostic. Con Fede fuori dai giochi per un quarto d’ora e, quindi, inglobato nella catena di destra. L’audacia non sconfessa la difesa a tre – penso al Gasp di Lazio-Atalanta 0-2, che rumba – a patto di stare corti e di aggredire, cosa fatta solo per un tempo.

Alla ripresa, catenaccio y contropiede: e dal 75’ poi, tutti chiusi a chiave. Tra Vlahovic, Chiesa e gli ex sodali son volati
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Luci a san Ciro. E i falò di Vlahovic

Roberto Beccantini7 febbraio 2023

L’odio non estingue gli eventuali reati commessi dalla parte odiata, ma se sei un pm che indaga proprio da quelle parti e proprio su quella parte, bé, un minimo di distacco (non solo in classifica, visto il tifo per il Napoli) non guasterebbe. Alludo a Ciro Santoriello, membro della «triade» che ha scatenato l’inchiesta Prisma. Vero: la battuta risale al 2019, il tono era abbastanza scherzoso, e «a tal proposito ricorderei come fu proprio lui ad archiviare tutte le accuse in un procedimento del passato aperto sui conti della società bianconera», parole e musica dell’avvocato Chiappero, non di un ultra interista. Per carità. Decontestualizzare un discorso, e magari una telefonata, si presta spesso a rischi di traduzione. La cosa buffa è che, delle famigerate plusvalenze, San Ciro parlò in maniera tale da escludere il «falso in bilancio». Allora. Quattro anni fa.

Resta quel lemma: «odio». Per l’amor di Dio (e, soprattutto, dell’io che, a volte, si gonfia coma la rana della favola), alzi la mano chi non è tifoso, né si può pretendere che non lo siano gli sceriffi, quando depositano la stella, ma insomma, là dove la forma coincide con la sostanza, meglio volare basso. Ai convegni, almeno. In aula no: lì, vinca il migliore.

Ci sarebbero anche, scovati dai social, due membri del collegio di Garanzia del Coni, ultima rampa del tappone juventino, che, temporibus illis, avrebbero sparato a zero sull’Andrea della Superlega e su quel «bimbo minchia» di Cristiano Ronaldo. Scritto che non faranno parte della «squadra» cui spetterà l’estrema funzione, è proprio vero che il passato non passa mai (non è mia, purtroppo).

Dalle luci di San Ciro ai falò dell’Arechi. Nel ricordo di Andrea Fortunato, che troppo presto fu rapito a gente che non seppe (o non volle) capirlo. A un 3-0 non si guarda in bocca per principio, figuriamoci con l’aria che tira a meno 15 e le telefonate (degli agenti) che crepitano fin negli spogliatoi.
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